Il PD che verrà dopo l’ascesa di Zingaretti alla segreteria nazionale. Si è ripetuto fino alla noia che l’assetto nazionale del partito avrebbe crerato effetti a cascata anche in periferia, con uno sguardo d’insieme più definito e magari anche pregno di nuova linfa per rinvigorire un partito segnato e piegato dalla sconfitta. A Benevento si assiste, per certri versi, alla metafora nazionale; un partito che esce da due anni e mezzo di rovesci anche clamorosi ma arroccato attorno alla dimensione clanica di un decarianismo irreversibile. La novità, tuttavia, è rappresentata dalla emersione di una parte più marcatamente di sinistra che si riferisce direttamente a Zingaretti ma che in realtà è frutto di una scissione interna a quell’asse che ha governato il partito negli anni delle vacchi grasse e della gtestuione del potere. La perdita di quiell’esercizio ha comportato la soluzione di quei patti.
Ora la domanda è: cosa ne sarà del PD beneventano? Per De Caro non sembrano esserci dubbi: la leadership non si tocca fino al 2021, una data lontanissima che assomiglia più ad un tentativo di arginare i nuovi fermenti che una chiara visione delle cose. Per Raffaele Del Vecchio il tentativo di connotarsi in autonomia sia dalla presenza avita che da quella di Umberto e in generale l’esigenza di contare per se stesso. C’è anche Francesco De Pierro, il capogruppo al Comune, protagonista suo malgrado nell’ultimo consiglio comunale di due situazioni eufemisticamente imbarazzanti: la messa in minoranza sulla questione Hortus e la richiesta irrituale di Mastella dinm assentarsi giustom il monmento di garantire l’unanimità da presentare al maestro Palladino. De Pierro quindi chiede garabzie politiche per un partito da ricostruire e avanzare anche qualche velleità di stampo personale
