Dopo lo scioglimento del Consiglio Comunale uno strano silenzio è caduto sulla città. Per le strade, nelle scale dei condomini, nei negozi la gente parla sottovoce come si fa in casa in presenza di un malato grave.
Spero di non essere l’unico a sentire l’urlo di questo silenzio, i “sussurri e grida” che piovono sugli ombrelli colorati che si muovono al vento in Via Nappi e che rischiano d’essere paraventi che nascondono un dolore, la veste multicolore di una donna cui sia stato diagnosticato un cancro al seno che cerca di mantenere, comunque, la sua dignità.
“Si tratta solo di un raffreddore!” dicono i benpensanti, quelli che si ostinano a far suonare l’orchestra sul Titanic che affonda “per non creare falsi allarmismi”. C’è una carità della verità che pochi oggi perseguono, ma che non può non destare preoccupazione in chi ancora ha a cuore Avellino.
Certo ci ha entusiasmato la vittoria della Squadra dei Lupi: ancora pendono le bandiere biancoverdi alle finestre per la voglia di riscatto che è emersa per la promozione in serie B. Ma non basta a rimettere in equilibrio i valori del sangue avvelenato della città.
Come un cancro asintomatico che rode in silenzio gli organi vitali – la vita politica, il senso civico, il rispetto delle istituzioni, le regole del vivere civile, la memoria sacra dei Padri – ci siamo trovati con una diagnosi infausta mentre ancora si ricorreva a palliativi e tachipirine. La città è malata e chiede compassione, rispetto, impegno civico, voglia di ricominciare, speranza.
Per il 15 agosto tutti tornavano a casa, dalle vacanze o dai luoghi dove il lavoro li aveva spinti: sentivano il richiamo delle radici, il desiderio di incrociare lo sguardo dell’Assunta per bere una boccata d’acqua irpina prima di tornare ai miasmi delle città sovraffollate.
Qualcuno ha deciso di non tornare quest’anno, ha cancellato il volo: “Non serve, e perché visitare ‘la casa dei cento natali’ ora che la madre è in gramaglie e si aggira tra i tumuli?”.
Nonostante tutto, la Regina ha aperto i cancelli della Corte e si prepara a ricevere i suoi figli: uscirà, in trono, tra ali di folla, a incoraggiare quelli che ancora credono in una risurrezione, a spargere benedizioni e sorrisi, speranza e forza per affrontare l’oggi difficile, in cui tornano i conti di banchetti e festini che erano solo una maschera per nascondere la verità.
“Il medico pietoso fa la piaga cancrenosa” recitava un proverbio per chi non aveva il coraggio di affondare il bisturi per recidere la parte malata, accontentandosi di impacchi dove servivano chemioterapie.
L’assenza di luminarie e fuochi d’artificio può scoraggiare i superficiali, ma può essere uno stimolo per chi cerca l’essenziale e riconosce nella Madonna Assunta il vero perno della città, la sua memoria migliore, ancora sana e presente a vegliare sulla notte della nostra comunità.
Come i nostri nonni, possiamo ricorrere a luci e lumini sui balconi, a coperte stese come gran pavese, a incontri con parenti e amici senza concerti e tappeti, a un bicchiere di vino brindando al futuro, raccontando il passato per far germogliare il domani.
La Regina, venerata nell’immagine custodita nello scrigno della Cattedrale, è ancora con noi: non si è trasferita, non è andata in vacanza. Come fanno le mamme, è rimasta accanto alla figlia che tutti danno per spacciata.
Più che degli esperti, ci fidiamo di Lei, del Suo sguardo rassicurante nella tempesta, del latte che ci offre come quando eravamo bambini. La Festa dell’Assunta 2025 la ricorderemo senza trucco, “acqua e sapone”, come il momento in cui siamo tornati all’essenziale: al latte, al pane, al vino, all’amicizia, ai valori dei padri, allo sguardo della Madre che ci dice “c’è ancora speranza”.
Questa Festa ci trova poveri e felici, come nel dopoguerra, quando c’erano macerie e voglia di ricominciare; come dopo il terremoto, quando ci si abbracciava da sopravvissuti e si tornava ad arare la terra per la semina.
L’unico segno esterno sarà una banda musicale che passerà per le vie a svegliare la città, a chiamare a raccolta “gli uomini liberi e forti”, a far salire alle finestre la gioia di suonare insieme: “Quando la banda passò volevo dire di no, ma il mio ragazzo era lì e allora dissi di sì”, cantava Mina.
Un invito a dire “sì” al sogno della “città giardino” di Di Nunno, a una città “Giardino di Eden” dove ci si incontri perdonati, costruendo il futuro con la responsabilità di tutti e non con le alchimie di pochi.
Buona Festa dell’Assunta a tutti!
Si dirà in futuro: la festa del 2025 fu l’inizio di una nuova stagione di umanesimo e ritrovata responsabilità. Come un… Rinascimento.
+Arturo Aiello