Fuori il nome, è il grido che si leva presso l’elettorato del centrodestra campano. Che attende da un decennio di tornare ad essere maggioranza anche in qui e che le vicissitudini e diciamolo pure la scarsa consistenza politica dei protagonisti non rendono tale. Appare strano ma le alchimie tattiche da realpolitik degli avversari, completamente alla mercè del cacicco De Luca, piuttosto che animare di nuova energia il centrodestra sembra averne spento anche quelle residue speranze di invertire la tendenza, ha sortito un certo effetto abdicativo che rischia seriamente di condizionarne il prosieguo. E il pericolo, che è sempre in agguato, è che l’elettorato conservatore turandosi il naso risegua De Luca che parla ai suoi ma fondamentalmente alla pancia dei moderati, dote che gli ha permesso di essere fortissimo fondamentalmente in questi ultimi anni.
La conseguenza è il “no contest”, una contesa considerata come mai avvenuta e sarebbe gravissimo, nonostante la destra governi largamente il Paese. Ragione per la quale l’alea del no contest è seria. E allora Cirielli o non Cirielli, che si badi bene è una candidatura di caratura innegabile, che vista la situazione deve essere tutelata a dovere, d’altra parte rinuncerebbe al ruolo di viceministro per venire a fare molto probabilmente il capo dell’opposizione in Consiglio regionale, oppure Mara Carfagna o una qualsivoglia figura pescata nel mondo della non politica risulterebbe del tutto ininfluente ai fini della disputa. Nomi gettati nella mischia spesso all’insaputa dei diretti interessati, vedi il Prefetto di Napoli Di Bari che ha subito smentito ogni suo coinvolgimento. E poi l’eterno contrasto fra i tre partiti, ma sarebbe meglio dire due Forza Italia e Fratelli, che ha ridotto la destra alla irrilevanza elettorale e nel Sannio ne abbiamo assoluta contezza, è una sorta di macigno sulle velleità di governo di una regione-nazione vista la possanza demografica della Campania.
E allora non resta che sperare nell’istrionismo di De Luca che agisce da padrone assoluto dei giochi. Ieri, nel tradizionale messaggio “urbi et orbi”, il contraddittorio, la dialettica è armamentario del secolo scorso ormai, ha lanciato un paio di siluri su cui chi di dovere dovrebbe riflettere. Il primo non nominando mai Fico, sul quale non ha cambiato idea affatto e che ritiene una pedina debole però congeniale alle sue strategie di governo ombra e il secondo tornando a “sfottere” il PD definendoli cacicchi, loro, per avere deciso “inaudita altera parte” chi deve e chi non deve proporsi all’elettorato che è l’unico a dover decidere.
Insomma, chi ha ritenuto e ritiene di avere placato “l’ira funesta” di Cienzo sbaglia e pure di grosso, così come sbaglierebbe chi ritenesse che alla fine De Luca non decidesse di candidarsi presentandosi in Consiglio, ovemai eletto, dove sarebbe il più tenace oppositore del pentastellato. Fantapolitica? Con De Luca siamo abituati ad attenderci cose “indicibili tra le indicibili”, Sofocle Edipo Re, egli è e resta il peggior nemico del suo campo, ammesso che ve ne sia uno e che non sia lui stesso il Campo e pertanto è in De Luca che la destra deve sperare, magari elucubrando sulle scelte del pargolo Piero che dovrà scegliere se sostenere il partito o la lista del padre nel segreto delle urne.










