La vicenda dell’inquinamento del torrente Sassinora continua a tenere banco, nonostante non ci siano novità rilevanti nelle ultime ore. Ma la gravità del fenomeno è tale che viene naturale interrogarsi su come e cosa sia accaduto, e su cosa non abbia funzionato per evitare il danno.
In questi giorni – e, com’era prevedibile, all’inizio nessuno si è sbilanciato nel fare nomi di possibili responsabili – si parla di una storia che però era già in odore (e non solo in senso metaforico) di disastro annunciato.
La storia la ricordiamo tutti: inizia diversi anni fa, nel 2018, con le proteste del comitato civico “Rispetto e tutela del territorio“, che si opponeva alla realizzazione di un impianto di compostaggio.
Allora, paure e dubbi sulla trasformazione dei rifiuti sembravano solo illazioni rivolte a un’azienda privata che voleva investire sul territorio e che, come si dice, “veniva in pace”.
Nel tempo, però, gli attivisti del comitato hanno più volte documentato irregolarità dell’impianto, situato lungo la direttrice del torrente e a monte di un allevamento di trote.
Le immagini di tombini straripanti e liquami in rapida discesa verso valle sono state immortalate in foto e video, utilizzati anche come forma di denuncia pubblica.
Venendo ad oggi – e tralasciando la lunga sequela di battaglie legali – sembra piuttosto plausibile che l’incidente al depuratore avvenuto pochi giorni fa sia riconducibile proprio a strutture come l’impianto di compostaggio.
Attualmente, il sistema di sversamento dell’impianto è sotto sequestro, mentre si attendono gli esiti delle analisi di laboratorio dell’Arpac sui liquami prelevati, che dovranno stabilire il grado di pericolosità delle sostanze finite nel fiume. Sostanze che, tra l’altro, hanno già provocato la morìa degli esemplari presenti nel vivaio di trote.