4 Novembre 1918, 4 novembre 2025. 107 anni esatti dalla grande vittoria “mutilata”, come gli storiografi definirono il sacrificio italiano nella Prima Guerra Mondiale. 650mila morti, più di un milione di feriti, una generazione caduta sul campo di battaglia per definire il compimento del Risorgimento in quelle terre irredente trentino-giuliane ma anche la frustrazione per non avere ottenuto quanto la macchina interventista e politicamente trasversale si aspettava di ottenere e il contentino del Sud Tirolo fu emblematica dimostrazione.
Oggi il 4 novembre non è più annoverato come il giorno della Vittoria, del bollettino Diaz quello delle risalite senza speranze delle armate austroungariche; e dire che a suon di morti è stata l’unica guerra vinta dagli italiani tutti, in larghissima prevalenza da quel sottoproletariato urbano e rurale che costituì il nerbo del Regio Esercito.
Coraggio, a tratti eroismo, e su tutto il genio tattico di un napoletano a salvare le terga della Nazione dopo il disastro di Caporetto e la barbarie di Cadorna. Quell’Armando Diaz, dal Cavone di Piazza Dante, cui il Paese dovrebbe riconoscere maggior vanto per non essersi liquefatto sul Piave.
La Festa delle Forze Armate ma meglio sarebbe del popolo italiano quello delle trincee, delle esecuzioni capitali per il solo sospetto di diserzione, dell’ecatombe umana per conquistare venti metri si terra di nessuno. Un giorno da dedicare solo a quei ragazzi, in maggioranza merdionali, che nemmeno sapevano cosa fosse il Sabotino o la Bainsizza oppure il Carso.