Chiude i battenti Brigantica, la kermesse a metà tra lo storico e l’etnologico e che ha impegnato molte amministrazioni comunali in una serie di appuntamenti che hanno contraddistinto l’estate che è ormai alle spalle. Lo scoppo, quello di spiegare, a distanza di 164 anni, “tutta nata storia”, per citare una dei pezzi più antagonisti di sempre del repertorio di Pino Daniele, e cioè la falsa storia risorgimentale e liberale, farcita di retorica, per imporre il pensiero dominante di criminalizzazione di quello che gli occupanti piemontardi chiamarono in termini di delegittimazione politica brigantaggio.
Una masnada di tagliagole, secondo la storiografia borghese ufficiale, che però seppe tenere in scacco 120mila soldati regolari per quasi 5 anni, un segnale di quanto i nuovi padroni del sud avessero timore a parlre di vera e propria guerra civile agli occhi dell’Europa che li aveva sostenuti e non solo. Al di la del legittimismo borbonico che, in sostanza, lascia il tempo che trova la questione va inquadrata in schemi marxiani e cioè di una feroce lotta di classe che concentrò interessi contrapposti in quella che fu definita Unità d’Italia.
Borghesia degli affari, latifondo, organizzazioni criminali, di cui il nuovo stato si avvalse a piene mani per controllare il territorio preservando gli antichi proivilegi di casta e se ne avvarrà anche nel futuro, alte gerrachie militari meridionali passate direttamente nei nuovi quadri del costituendo Regno d’Italia con annessi e connessi; tutte queste forze intravvidero nel cambio di regime la possibilità non solo di consolidare il loro potere ma di accrescerlo. Dall’altro il sottoproletariato rurale e non solo rurale, tradito dalla chimera garibaldina della riforma agraria e spogliato anche di quelle prerogative che il vecchio regime borbonico, con poche tasse e relativi pochi servizi, aveva mantenuto evitando l’ulteriore improverimento.