breaking news

Emergenza cinghiali, il caso Matese: cosa prevede la legge e quali soluzioni sono possibili

Emergenza cinghiali, il caso Matese: cosa prevede la legge e quali soluzioni sono possibili

5 Novembre 2025 | by redazione Labtv
Emergenza cinghiali, il caso Matese: cosa prevede la legge e quali soluzioni sono possibili
Attualità
0

Riceviamo e pubblichiamo nota a firma di Angela Di Brino Consigliere di maggioranza del Comune di Morcone

Da qualche decennio ormai, la nostra penisola è attraversata dall’emergenza cinghiali, eppure nel nostro territorio, tale problema sembra essere esploso con tutta la sua potenza solo con l’istituzione del Parco Nazionale del Matese.
Divenuto oggetto principale dei “pamphlet” di chi strumentalizza il Parco per questioni politiche, occorre fare un pò di chiarezza, lasciando stare le “chiacchiere” e analizzando le norme ed i dati.
La “miccia”, per riprendere il paragone iniziale, è stata accesa più di mezzo secolo fa.
Le origini del problema, difatti, sono risalenti nel tempo: a partire dal secondo dopoguerra, l’introduzione di esemplari provenienti dall’Est Europa a fini venatori, l’abbandono delle campagne e la corsa verso i centri urbani hanno contribuito alla proliferazione di questi mammiferi definiti opportunisti e altamente invasivi.
Secondo un’indagine condotta dall’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nel periodo 2015-2021 “il prelievo del cinghiale è aumentato del 45% e in media sono stati abbattuti circa 300.000 cinghiali all’anno di cui 257.000 in caccia ordinaria e 42.000 in interventi di controllo faunistico”.
Dai sette anni di studio risulta che l’86 % degli abbattimenti è avvenuto in attività di caccia ordinaria, il restante 14% in attività di controllo faunistico. La tecnica più utilizzata rimane la braccata con cani (88%), seguita dal tiro selettivo da appostamento (9%), girata (2%) e caccia vagante (1%).
Per quanto riguarda l’attività di controllo faunistico, il 38% dell’attività “è stata realizzata all’interno delle aree protette nazionali e regionali” – che costituiscono circa il 10,5% della superficie nazionale – “la restante parte in territorio non protetto”.
La tecnica più utilizzata per il controllo è stata il tiro selettivo (52%), seguita da cattura (31%), braccata (11%) e girata (6%) tecnica condotta con l’uso di un unico cane che segnala la traccia dei cinghiali.
Nel periodo di riferimento, “la stima complessiva dei danni all’agricoltura è risultata di poco inferiore a 120 milioni di euro di danni per un totale di oltre 105.000 eventi di danno. Complessivamente il 36% degli importi (circa € 30 milioni) per danni da cinghiale è riferito alle aree protette nazionali e regionali, la restante parte (circa € 89 milioni) ad aree non protette”.
I dati ricavati dalle informazioni fornite dalle Regioni e dalle Aree protette, denotano una crescita esponenziale che evidentemente non può essere arrestata soltanto attraverso la caccia che, però oggi, resta la soluzione maggiormente invocata dai cittadini minacciati dalla presenza dei cinghiali nei dintorni delle abitazioni, e dagli agricoltori che subiscono ingenti danni alle coltivazioni.
È facile, dunque, comprendere la reazione dei nostri concittadini di fronte al divieto di caccia imposto dalla legge quadro sulle aree protette.
In base alla lettera a) comma 3 dell’art 11 l. 394/1991, infatti, nei parchi sono vietati “la cattura, l’uccisione, il danneggiamento, il disturbo delle specie animali”.
Tuttavia, la stessa norma, prevede delle deroghe. In base al co. 4 dell’art. 11, infatti: “Il regolamento del parco stabilisce altresì le eventuali deroghe ai divieti di cui al comma 3. Per quanto riguarda la lettera a) del medesimo comma 3, esso prevede eventuali prelievi faunistici ed eventuali abbattimenti selettivi, necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dall’Ente parco.
Prelievi e abbattimenti devono avvenire per iniziativa e sotto la diretta responsabilità e sorveglianza dell’Ente parco ed essere attuati dal personale dell’Ente parco o da persone all’uopo espressamente autorizzate dall’Ente parco stesso”.
Non si può, però, parlare di attività di controllo senza citare la l. n. 157/1992 (legge quadro in materia di protezione della fauna selvatica omeoterma e prelievo venatorio). In particolare l’art. 19 disciplina il controllo della fauna selvatica.
Il secondo comma, così come innovato dalla l. 197/2022, consente alle Regioni di provvedere “al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto”, per “la tutela della biodiversità, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali e ittiche e per la tutela della pubblica incolumità e della sicurezza stradale”.
Dispone, inoltre, che qualora i metodi di controllo impiegati si rivelino inefficaci, le regioni “possono autorizzare, sentito l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, piani di controllo numerico mediante abbattimento o cattura” (che non costituiscono attività venatoria).
La norma specifica al terzo comma che i piani di controllo “sono attuati dai cacciatori iscritti negli ambiti territoriali di caccia o nei comprensori alpini delle aree interessate, previa frequenza di corsi di formazione autorizzati dagli organi competenti a livello regionale o della provincia autonoma e sono coordinati dagli agenti dei corpi di polizia regionale o provinciale.
Le autorità deputate al coordinamento dei piani possono avvalersi dei proprietari o dei conduttori dei fondi nei quali si attuano i piani medesimi, purché muniti di licenza per l’esercizio venatorio e previa frequenza dei corsi di formazione autorizzati dagli organi competenti. Possono altresì avvalersi delle guardie venatorie, degli agenti dei corpi di polizia locale, con l’eventuale supporto, in termini tecnici e di coordinamento, del personale del Comando unità per la tutela forestale, ambientale e agroalimentare dell’Arma dei carabinieri”.
Il successivo art. 19 ter di recente introduzione, ha disciplinato un ulteriore strumento programmatico, di coordinamento e di attuazione dell’attività di gestione e contenimento, mediante abbattimento e cattura: il piano straordinario per la gestione e il contenimento della fauna selvatica.
Le attività di contenimento disposte nell’ambito di tale piano, da adottarsi con decreto del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica, di concerto con il Ministero dell’agricoltura, sentito per quanto di competenza l’Ispra, e previa intesa in sede di conferenza permanente per i rapporti tra lo stato le regioni “non costituiscono attività venatoria e sono attuate anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane, nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto”.
Dunque, se la caccia nelle aree protette è vietata, è però possibile l’abbattimento dei cinghiali in virtù di norme che sono contenute sia nella legge quadro sulle aree protette sia nella legge quadro che disciplina il prelievo venatorio.
Tornando al Parco Nazionale del Matese, il decreto ministeriale del 22.04.25 riproduce il contenuto della legge quadro. L’art 4 nel ribadire il divieto di caccia, consente “prelievi faunistici ed abbattimenti selettivi, inclusi interventi di biosicurezza e controllo sanitario, necessari per ricomporre squilibri ecologici accertati dal Comitato di Gestione, sulla base di appositi piani di intervento da esso approvati.
“Fino all’approvazione di suddetti piani, i prelievi/abbattimenti controllati, esclusivamente rivolti alla fauna problematica e alle specie aliene invasive, saranno gestite dagli enti regionali competenti per territorio utilizzando solo personale formato, munizioni atossiche e tecniche che minimizzano il disturbo ambientale,
dando preferenza all’attività di cattura, e saranno possibili su tutto il territorio del Parco.”
Alla luce della normativa vigente e in armonia con quanto previsto dal decreto emanato lo scorso aprile, siamo sicuri che la Regione Campania interverrà per cercare di gestire il problema dei cinghiali, in attesa della piena operatività del Parco Nazionale del Matese.

Invece di alimentare o amplificare i dubbi tra cittadini, cacciatori e agricoltori, sarebbe più utile concentrarsi sulla ratio delle norme, sulle modalità e sugli strumenti che la legge prevede per risolvere i problemi. La buona politica serve a questo!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *