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Chiusano chiede fallimento Alto Calore. Scoppia la polemica

Chiusano chiede fallimento Alto Calore. Scoppia la polemica

12 Luglio 2017 | by Alfredo Picariello
Chiusano chiede fallimento Alto Calore. Scoppia la polemica
Attualità
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Chiusano chiede il fallimento dell’Alto Calore: udienza il 28 settembre. Intanto, c’è una vivace botta a risposta tra il sindaco De Angelis e le Rsu della società di Corso Europa che gestisce il servizio idrico di Irpinia e Sannio.  La decisione di chiedere il fallimento, ricordiamo, è maturata a seguito di una richiesta di recupero crediti effettuata dall’ente nei confronti dell’azienda di fornitura del servizio idrico, e all’impossibilità di quest’ultima – secondo l’amministrazione comunale – di corrispondere il debito maturato pari a 57.890,07 euro.

Un atto amministrativo necessario anche per il sindaco Carmine De Angelis, che si prefigura in qualche modo come monito per tutti quei Comuni gravati dalle medesime circostanze.

Uiltec, Femca Cisl, Filctem Cgil, Ugl Energia hanno stigmatizzato la decisione del Comune. “Le scriventi Organizzazioni Sindacali di Alto Calore Servizi spa vogliono esprimere il loro stupore di fronte al comportamento irresponsabile del Sindaco del Comune di Chiusano San Domenico, dott. Carmine De Angelis, per aver disposto una richiesta di fallimento dell’azienda acquedottistica irpina”.

Lunga ed articolata la risposta del primo cittadino. “Spesso si parla senza documentarsi e coloro che dovrebbero tutelare i diritti diventano promotori dei privilegi.  Con Alto Calore il Comune di Chiusano ha avviato da più di due anni azioni di recupero, tutte vinte, in sede giurisdizionale e quindi appare pretestuoso e strumentale sostenere che ci sia stata una estemporanea attenzione sulle magnifiche sorti e progressive della Società. Ho letto che l’Alto Calore dice di aver svolto numerosi lavori sulle condotte di Chiusano. Ricordo alle Rsu che quando Alto Calore ha provato ad opporre, nell’ambito del contenzioso con il nostro Comune, una compensazione, sostenendo di aver eseguito presunti lavori, in sede di Giudizio l’ipotesi non è stata accolta. È stato sempre e direttamente il Comune di Chiusano San Domenico a svolgere i lavori su quei tratti. Alle Rsu consigliamo di non addentrarsi in giudizi politici o in elenchi di presunti dati, smentiti oltre che dai fatti anche dagli stessi giudici.

Qualche osservazione occorre, quindi, farla sui debiti e sulle responsabilità dei soci.  Con la recente sentenza  7/2/2017 n. 3196 la Cassazione, nel ribadire che anche le società a parziale o totale partecipazione pubblica sono soggette a fallimento, ha rammentato che “la scelta del legislatore di consentire l’esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesta la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità”. Muovendo da questo principio, ciò che appare irresponsabile non è certo l’iniziativa assunta dal Comune di Chiusano. Ed infatti, contrariamente a quanto erroneamente “ricordato” dalle OO.SS. nel comunicato dell’11 luglio u.s., è proprio la sopravvivenza della società a gravare sulle casse degli Enti soci. L’art. 1, cc. 550 e seguenti della Legge 147/13 (Legge di stabilità 2014), ha imposto che, già dal bilancio di previsione 2015, le pubbliche amministrazioni locali istituissero un fondo vincolato per la copertura delle perdite degli organismi partecipati non immediatamente ripianate. Ma come chiarito dalla delibera 4/15 della Sezione Autonomie le disposizioni sugli accantonamenti al fondo vanno coordinate con le norme del Codice Civile, le quali danno facoltà all’ente di decidere, in base ad un giudizio prognostico sulla futura redditività della società, se provvedere alla reintegrazione del capitale sociale oppure prendere atto dell’automatica liquidazione dell’organismo (articoli 2484, comma 1, n. 4 e 2447 Cc); caso, quest’ultimo, in cui l’ente socio non procede agli accantonamenti ma dà corso alle normali procedure di scioglimento della società. In altri termini, nell’ipotesi di fallimento, dei debiti risponderà la ACS nei limiti del suo patrimonio; viceversa finché la ACS continuerà a restare in vita, i suoi debiti graveranno sulle casse degli enti soci e, conseguentemente, dei cittadini .

Nell’augurare un buon lavoro alle rappresentanze sindacali, attenderemo senza strumentalizzazioni o ammiccamenti politici (non viviamo di politica o poltrone) l’esito del giudizio di fallimento che l’Ente ha depositato”.

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