“La proposta di Pera è attualissima. Non c’è dubbio che ci voglia un processo costituente. Rimettere mano alla Costituzione – in special modo al Titolo V – è assolutamente necessario, molto più urgente e necessario di quanto non lo fosse 10 anni fa. L’emergenza sanitaria ha messo duramente alla prova la tenuta e il funzionamento del regionalismo che non favorisce ma alimenta il conflitto tra istituzioni locali e organi dello Stato centrale”. Lo ha sottolineato Pasquale Viespoli, ex senatore di An, passato poi alla componente Futuro e Libertà e successivamente a Coesione nazionale,
cofirmatario, insieme Marcello Pera di una pdl per la formazione di un’assemblea costituente per le riforme, che arrivò fino alla discussione in aula a palazzo Madama nella XVI legislatura nel novembre del 2012. “Ricordo perfettamente – ha detto Viespoli all’Adnkronos, commentando l’intervista dell’ex presidente del Senato, pubblicata oggi da ‘La Repubblica’ – il testo portava la firma di Marcello Pera e dei senatori Caruso, Compagna, Lauro, Pastore, Poli Bortone, Lauro, Ramponi, Valentino e del sottoscritto. Era molto snello e prevedeva, come propone Pera oggi, l’elezione di 75 membri della costituente, l’incompatibilità dei componenti con la carica parlamentare e infine un referendum popolare di approvazione. La cosa interessante è che conteneva anche la proroga della durata in carica del presidente della Repubblica, che sarebbe cessato dalla carica solo a conclusione dell’iter di modifica della Costituzione”. Il testo non ebbe fortuna. Cosa accadde: “in commissione Affari Costituzionale – prosegue Viespoli – venne riunificato con altre pdl
di iniziativa di vari gruppi parlamentari. Perché avvenne? In commissione si arrivò a un compromesso che portò a un testo unificato, approvato dalla commissione, che cambiava profondamente l’impostazione originaria. Su questo cambiamento, sul quale lavorò in particolare il senatore Ceccanti del Pd, prefigurava l’elezione di una commissione
per la revisione costituzionale e prevedeva un referendum costituzionale di indirizzo. Il testo fu votato dalla Commissione,
arrivò anche in aula, i relatori eravamo io e Francesco Rutelli, ma il compromesso politico non tenne. Non tenne perché “il senatore Pardi dell’Idv ma anche una parte del gruppo Pd, che io definirei ‘custode’ dell’ortodossia costituzionale, non accettarono il compromesso raggiunto. Un ‘contributo’ al crollo del tentativo in atto, giunse anche da un articolo di Sergio Rizzo e Gianantonio Stella, che consideravano la commissione l’ennesima espressione di una casta che non voleva
riformarsi e perdere solo tempo. Quindi la cosa morì. Io presi atto dell’impasse e mi dimisi da relatore. Ma la causa affettiva del fallimento furono le divergenze nel Pd la tenuta del gruppo al Senato”. Nel dicembre del 2012 la legislatura si concluse anticipatamente e con il cambio del quadro politico che derivò dalle elezioni del febbraio 2013, la pdl finì al macero. “Se invece nel 2012 il testo fosse stato approvato, sarebbe stato un passo in avanti importantissimo, perché ai
fini del regolamento del Senato nella legislatura successiva si sarebbe potuto riprendere il cammino dal punto in cui si era arrivati nella precedente”. “La pdl era ben strutturata perché oltre all’elezione delle commissione, prevedeva un referendum costituzionale di indirizzo – con il quesito da sottoporre ai cittadini già predisposto – che sostanzialmente avrebbe consegnato la scelta della forma di governo alla volontà popolare che poteva determinare l’adozione del premierato o del semi presidenzialismo”, conclude Viespoli.