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“La scuola della pace”, raccolti 4.450 € con i concerti di Uto Ughi e Moni Ovadia

“La scuola della pace”, raccolti 4.450 € con i concerti di Uto Ughi e Moni Ovadia

2 Maggio 2022 | by redazione Labtv
“La scuola della pace”, raccolti 4.450 € con i concerti di Uto Ughi e Moni Ovadia
Cultura
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Successo trascinante ed entusiasmo alle stelle, ieri sera, per il concerto-recital di Moni Ovadia, accompagnato dall’ensemble Rom Arab Beat, Il Magreb incontra i Balcani, settimo appuntamento della Stagione Concertistica 2022, proposta da Accademia di Santa Sofia in sinergia con l’Università degli Studi del Sannio, sotto la direzione artistica di Marcella Parziale e Filippo Zigante, con i consulenti scientifici Massimo Squillante, Marcello Rotili e Aglaia McClintock.

Enorme soddisfazione e successo anche per la raccolta fondi realizzata tramite la vendita dei biglietti dei concerti di Ughi e Ovadia, associati all’iniziativa filantropica “La scuola della pace”, progetto della Comunità di Sant’Egidio Benevento, volto ad aiutare concretamente, con soluzioni per l’integrazione e l’inserimento scolastico, i bambini del quartiere cittadino di Santa Maria degli Angeli. La somma complessiva di 4.450 €, ricavata dai due concerti è stata simbolicamente consegnata, in apertura di serata, dal presidente di Accademia Santa Sofia, Salvatore Palladino e dal Rettore di Unisannio, Gerardo Canfora, al responsabile Comunità Sant’Egidio per Benevento, Celestino De Marco, con un grande assegno fac simile. Emozionati i saluti iniziali di Marcella Parziale e Maria Buonaguro presidente Amici dell’Accademia.

E così inizia una notte speciale, tra musica klezmer, melodie e ritmi mediterranei, sapori balcanici, greci e del Maghreb, per il foltissimo pubblico dell’Auditorium Sant’Agostino di Benevento che, galvanizzato dagli straordinari artisti, gioisce, si commuove, ride, piange, e a stento si trattiene dal ballare sul proprio posto, ma tiene il tempo con tutto il corpo e accompagna battendo le mani gli irresistibili ritmi di ballate e danze popolari affascinanti ed evocative di mondi distanti ma vicinissimi, per le incredibili analogie e coincidenze di origine melodica, ritmica, antropologica, umana, contrappuntate da letture toccanti e da storielle yiddish, esilaranti, argute e sagaci, interpretate come sempre magistralmente dall’unico e inimitabile “saltimbanco sospeso tra cielo e terra” amato da generazioni di appassionati.

Salomone «Moni» Ovadia è un attore teatrale di sconfinata esperienza, saggezza e temperamento, colto e poliedrico. Drammaturgo, scrittore, compositore e cantante italiano di discendenza bulgara, ebraico-sefardita, definizione che, come ci ricorda, si originò con la dispersione degli esuli spagnoli (Sepharad era la Spagna) e portoghesi perseguitati dall’inquisitore Torquemada, per ironia della sorte di lontane origini ebraiche, che trovarono rifugio in Europa e sulle coste del mediterraneo, tra cui Italia, Grecia, Maghreb e Medio Oriente.

“Inventore della memoria” (secondo l’amico e regista Roberto Andò), paladino della cultura yiddish e mitteleuropea, Moni Ovadia si conferma ogni volta come uomo, intellettuale e artista di incomparabile caratura etica, poetica e stilistica, profondo conoscitore dello scibile umano, con i suoi pregi e i suoi difetti, fervente studioso costantemente dedito al recupero e alla rielaborazione del patrimonio artistico, letterario, musicale e religioso degli ebrei dell’Europa orientale. Il suo preziosissimo lavoro ricerca e identifica “il suono dell’anima” (Sandra Petrignani) dove confluiscono musica, teatro, politica, umorismo e spiritualità, tutti diversi aspetti di una personalità incandescente impegnata in un’opera instancabile di “formazione di una coscienza”, la sua, quella del suo popolo d’origine, la nostra.

E così inizia con la lettura di alcuni passi tratti da Il ponte sulla Drina, dai Racconti di Bosnia di Ivo Andri

, scrittore  jugoslavo, Premio Nobel per la letteratura nel 1961. Il brano parla di ponti, ponti reali certamente, di pietra, di ferro, di legno, costruiti dagli uomini ma anche simboli dell’eterno desiderio dell’uomo di collegare, di unire sponde, di creare legami tra luoghi, etnie, popoli diversi. “Tutto ciò che questa nostra vita esprime – pensieri, sforzi, sguardi, sorrisi, parole, sospiri – tende verso un’altra sponda, verso una meta tramite cui acquista il suo vero senso. Tutto è un passaggio, un ponte le cui estremità si perdono nell’infinito […] e la nostra speranza è su quell’altra sponda”. Un brano pieno di amore per quella che era la società della Bosnia multietnica, ponte tra il mondo dell’est e quello dell’ovest, dove le religioni musulmane, ortodosse e cattoliche s’incontrano e si scontrano, così come la cultura di matrice ottomana e quella slava, un brano imbevuto di poesia, di speranza e impegno civile insieme, un inno alla pace.

Il concerto prende vita con canti popolari, canzoni, voci e sonorità che si perdono nella notte dei tempi, dalla Grecia al maghreb, dall’Europa centrale all’Italia, al medio oriente, percussioni e strumenti antichi e moderni, arabi, europei, africani e balcanici si fondono in un ancestrale rito collettivo che coinvolge ed esalta il pubblico. E così arriva Il barcaiolo, in greco, con Ovadia ispirato e coinvolgente; Scétate, celeberrima canzone napoletana del 1887, cantata in arabo dal bravo Ziad Trabelsi; la danza klezmer per le nozze d’argento, Koilen, da cui dopo mille peripezie creative e viaggi intercontinentali, nasce Bella Ciao, e il pubblico si esalta; la canzone Who’s this song, cantata da un Ovadia poliglotta, in tante lingue diverse, Turco, Greco, Macedone, Albanese, Bosniaco, Serbo e Bulgaro, tutti i protagonisti la vogliono inutilmente rivendicare come propria senza accorgersi che invece li rappresenta nei loro comuni caratteri, pregi, difetti, usi e costumi; arriva una canzone d’amore e passione per i begl’occhi bistrati di una bellezza mediterranea che fa impazzire gli uomini; di nuovo un canto arabo e poi uno ebraico sefardita con le mille inflessioni da tutta Europa; e infine il canto della taverna dove un marito vuole dimenticare la lite con la moglie bevendo e facendo bisboccia allegramente, danzando un magico sirtaki.

Ovadia mattatore modula la voce con sapienza e giocoso divertimento, danza da sempre, col corpo e con la voce, coi melismi e le intonazioni, calandosi con navigato mestiere, di volta in volta, nelle intenzioni dei protagonisti delle canzoni, conservando sempre l’attitudine libera e spontanea del canto e della danza popolare. L’ovazione finale, fragorosa come gli applausi per tutto il concerto, riscalda l’auditorium che ottiene un bis trascinante con la band (i bravissimi Paolo Rocca, Ziad Trabelsi, Primiano Di Biase, Simone Talone, Fiore Benigni) che sceglie un pezzo del suo repertorio ancora tra il Maghreb e i Balcani. Torna Ovadia con l’ultima barzelletta yiddish. Il pubblico in piedi ringrazia con calore per la grandissima indimenticabile serata. Ovadia è un fiume in piena anche fuori dal palco, con il pubblico, con amici, sconosciuti e fan, disponibile, garbato e amabile con tutti, condivide aneddoti personali straordinari, e perle di saggezza, cultura, umanità, coraggiosa coerenza e onestà intellettuale.

L’economista Emiliano Brancaccio che per Ovadia nutre una sincera stima ricambiata, ha preceduto il concerto con una presentazione dal titolo Arte della scienza: omaggio a Moni Ovadia, dove ha preso le mosse da profonde riflessioni di Ovadia sugli uomini e sui mali della modernità per analizzare la natura della guerra moderna.
(Monica Carbini)

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