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Trattativa Stato -Mafia: assolto Nicola Mancino

Trattativa Stato -Mafia: assolto Nicola Mancino

21 Aprile 2018 | by redazione
Trattativa Stato -Mafia: assolto Nicola Mancino
Politica
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Nicola Mancino, assolto perché il fatto non sussiste. E’ la decisione presa dalla corte d’assise di Palermo nel processo sulla trattativa Stato Mafia. L’ex ministro degli Interni era accusato di falsa testimonianza. I pm avevano chiesto per lui una condanna a sei anni di carcere. Mancino attende la sentenza a casa. Fino all’ultimo e’ stato indeciso. Combattuto tra l’assistere o meno alla lettura del verdetto. Poi l’ ex ministro dc imputato di falsa testimonianza al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, ha scelto di restare a casa e disertare l’aula bunker di Palermo dove, dopo 5 giorni di camera di consiglio, i giudici l’hanno mandato assolto. Unico tra una pioggia di pene pesantissime. I suoi avvocati, Nicoletta Piergentili Piromallo e Massimo Krogh l’hanno chiamato subito. “Sono stato sempre fiducioso nella giustizia, ma per me e’ la fine di una enorme sofferenza”, ha detto al telefono ai suoi legali. Chi lo conosce da sempre racconta che da anni trascorre parte della giornata a scartabellare le migliaia di pagine di un processo che dall’inizio ha definito kafkiano. “La mafia l’ho sempre combattuta – ha ripetuto nel tempo – Non possono finire sotto processo coi boss”. Oggi per l’ex potente dc e’ la fine di un incubo. “Sono stato vittima di un teorema che doveva mortificare lo Stato e un suo uomo che tale e’ stato ed e’ tuttora”, ha detto. L’imputazione per cui e’ finito a giudizio, l’avere mentito davanti ai giudici che processavano il generale Mario Mori per favoreggiamento al boss Bernardo Provenzano, e’ caduta. Per i pm che ne avevano chiesto la condanna a 6 anni, Mancini aveva detto il falso, negando che l’allora Guardasigilli Claudio Martelli, gia’ nel ’92, gli avesse accennato ai suoi dubbi sull’operato dei carabinieri di Mori e sui suoi rapporti con l”ex sindaco mafioso Vito Ciancimino. “Non ne abbiamo mai parlato”, ha sempre detto Mancino, smentendo il collega di governo. “E non capisco perche’ tra me e Martelli si debba credere a lui”. In effetti sulla discordanza tra le testimonianze un tribunale si era gia’ pronunciato, sollevando dubbi forti sulla ricostruzione dell’ex Guardasigilli. Ma questo non era bastato, almeno fino ad oggi. E al processo Mancino era passato per uno morbido coi clan messo alla guida del Viminale negli anni delle stragi perche’ fautore di una linea piu’ soft verso la mafia rispetto al suo predecessore Vincenzo Scotti. Accuse infamanti che l’hanno spinto anche a gesti “scomposti”. Come le pressioni fatte sul consigliere giuridico del Colle Loris D’Ambrosio per evitare il confronto in aula con Martelli. “A posteriori penso che sarebbe stato preferibile non telefonargli. Ma ero preoccupato, eravamo in piena bufera giornalistica”, ha spiegato ai giudici prima che entrassero in camera di consiglio. Quelle telefonate vennero intercettate e usate come prova del timore di Mancino nell’affrontare davanti al tribunale l’ex collega. E sotto intercettazione finirono anche le sue conversazioni con l’allora Capo dello Stato Napolitano, ritenute irrilevanti per l’inchiesta e distrutte dopo un drammatico scontro istituzionale tra il Colle e la Procura di Palermo. “Per me era un confronto inutile – si e’ giustificato – E a Grasso (Piero Grasso, allora capo della Dna ndr) non chiesi mai l’avocazione dell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia, ma solo il coordinamento dell’azione delle sei procure coinvolte nell’indagine”.

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