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Università, rapporto ANVUR: i dati sulla ricerca

Università, rapporto ANVUR: i dati sulla ricerca

25 Maggio 2016 | by Anna Liguori
Università, rapporto ANVUR: i dati sulla ricerca
Attualità
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Cresce il numero di matricole e di studenti che completano il percorso universitario, ma gravano i tagli al diritto allo studio, il blocco del turn over (che ha causato una diminuzione del corpo docente del 12% negli ultimi 10 anni) e lo scarso investimento di risorse pubbliche nel settore: queste alcune delle indicazioni che emergono dal secondo Rapporto biennale dell’Anvur, l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca.

Tra i punti positivi del Rapporto, va segnalato, senza dubbio, il ritorno alla crescita del numero di nuovi iscritti all’università; un’inversione di tendenza dopo quasi 10 anni di declino: nell’ultimo anno si registra una prima inversione di tendenza, con un incremento dell’1,6% del numero di iscritti (del 2,4% tra i giovani con età pari o inferiore a 20 anni). Il numero degli immatricolati è cresciuto soprattutto al Nord con +3,2% (4,1% sotto i 20 anni) ma ha avuto un miglioramento anche nel Mezzogiorno con +0,4% (+0,8% sotto i 20 anni).

Tuttavia, nonostante una costante crescita osservata negli ultimi anni, l’Italia rimane tra gli ultimi paesi in Europa per quota di popolazione in possesso di un titolo d’istruzione terziaria, anche tra la popolazione più giovane (24% contro 37% della media UE e 41% media OCSE nella popolazione 25‐34 anni). Il nostro paese ha colmato la distanza in termini di giovani che conseguono un diploma di scuola secondaria superiore, ma presenta tassi di accesso all’istruzione terziaria ancora più bassi della media europea e OCSE (42% contro 63% nella media UE, 67% media OCSE).

Si riduce anche il tasso di abbandono e di dispersione: nell’a.a. 2014/2015 dopo 11 anni dall’iscrizione risulta che il 57,8% degli studenti si è laureato, il 38,7% ha abbandonato e il 3,5% ancora iscritto. I tassi di abbandono più bassi si registrano nei corsi a ciclo unico, in particolare nelle aree di Farmacia e Medicina e chirurgia, con una percentuale di abbandono intorno al 6‐7%. Da segnalare invece l’altissima percentuale di abbandoni tra gli studenti provenienti da un istituto professionale: dopo 3 anni di corso triennale abbandona l’università tra il 44% e il 48% degli iscritti.

capitolo mobilità: cresce la percentuale di studenti che scelgono di studiare in una Regione diversa da quella di origine (erano il 18% nel 2007/2008, sono il 22% nel 2015/2016). In moltissimi scelgono di spostarsi al Nord; nel solo Piemonte l’incidenza di studenti fuori regione è salita dal 12% al 26% tra il 2007/2008 e il 2015/2016. La quota di residenti nel Mezzogiorno che s’immatricolano in un ateneo del Centro‐nord è salita da circa il 18% della metà dello scorso decennio al 24%.

Ma se da una parte la mobilità rappresenta, di per sé, un indicatore positivo, tali non sono le condizioni in cui spesso si verifica: come segnala il Rapporto, infatti: “L’aumento positivo della mobilità degli studenti è si è realizzato in un contesto di tagli al diritto allo studio, spesso operati a livello regionale, che intaccano l’uguaglianza delle opportunità richiesta dal dettato costituzionale. La principale criticità del sistema di diritto allo studio non è solo la cronica carenza di risorse (nell’ammontare e nei tempi) ma anche la sua eterogeneità (tra regioni e, all’interno delle stesse regioni, tra atenei) nei requisiti di accesso e nei tempi di erogazione dei benefici, di incertezza circa la permanenza del sostegno da un anno all’altro. Alcune regioni, oltre a non investire risorse proprie, hanno utilizzato i fondi destinati agli interventi a favore degli studenti capaci e meritevoli per altre finalità”.

Se a questo si aggiunge anche il crescere del divario tra Atenei del Centro Nord e quelli del Mezzogiorno, da anni oramai in crisi di iscritti, ma anche di fondi, diventa facile capire i motivi che spingono migliaia di ragazzi a dover lasciare la propria Regione in cerca di miglior sorte altrove.

Blocco del turn over e contrazione del corpo docente: altra nota dolente di lungo corso, la costante riduzione del corpo docente rimane una delle priorità da risolvere per rilanciare il sistema. Dal 2008, anno di massima espansione del settore, il personale docente è calato del 12%, passando dalle 62.538 unità ai 54.977 professori attualmente impiegati. Una contrazione arginata solo in parte dall’assunzione di ricercatori a tempo determinato, figura che il Rapporto Anvur definisce come “innovativa, ma che ancora stenta ad affermarsi”.

In tale contesto, riesce comunque a crescere la componente femminile nel corpo docente universitario: dal 1988 a oggi è passata da 26 a 37 donne ogni 100 docenti (la quota media dei paesi OCSE è 42). Dal 2007 al 2015 la quota delle donne tra gli ordinari è passata dal 18,5 al 21,6%; tra gli associati è salita dal 33,6 al 36,5% e tra i ricercatori dal 45,1 al 46,5%. La presenza femminile è quindi in costante crescita ma resta inferiore al 50%, nonostante già dagli inizi degli anni Novanta la quota di donne superi quella degli uomini tra i laureati e anche tra quanti conseguono un dottorato di ricerca.

Agrodolci i risultati in materia di ricerca: se da una parte i fondi messi a disposizione di docenti e ricercatori continuano nel loro progressivo calo (in particolare per quanto riguarda la ricerca di base e quella umanistica), risulta straordinaria la capacità dei ricercatori nostrani di ottenere il massimo pur con poche risorse. L’Italia ha ottimi risultati, sia rispetto alla spesa in ricerca destinata al settore pubblico e all’istruzione terziaria, sia rispetto al numero di ricercatori attivi nel paese. Rispetto ai ricercatori, la produttività italiana nel quadriennio 2011‐2014 è pari ai livelli della Francia e superiore a quelli della Germania.

Sono gli scarsi investimenti pubblici a pesare gravemente sul sistema università: la quota del prodotto interno lordo (PIL) dedicata alla spesa in ricerca e sviluppo (R&S) è rimasta stabile nell’ultimo quadriennio (2011‐2014), confermandosi su valori molto inferiori alla media dell’Unione Europea e dei principali paesi OCSE: con l’1.27% l’Italia si colloca solo al 18° posto (con una quota uguale alla Spagna) tra i principali paesi OCSE con valori superiori solo a Russia, Turchia, Polonia e Grecia, ma ben al disotto della media dei paesi OCSE (2,35%) e di quelli della comunità europea (2,06% per UE 15 e 1,92% per UE 28).

“Negli ultimi anni l’università e la ricerca italiane si sono sottoposte, anche grazie alle misure e alle norme varate dai diversi governi, a procedure trasparenti di valutazione e responsabilizzazione, come nessun altro ambito della Pubblica Amministrazione. Tuttavia, negli ultimi dieci anni questo impegno non sempre ha trovato un adeguato sostegno nelle politiche pubbliche, soprattutto dal punto di vista delle risorse a disposizione, decisamente insoddisfacenti se rapportate al contesto internazionale – spiega Daniele Checchi, membro del Consiglio Direttivo ANVUR e coordinatore del Rapporto – Basti a questo proposito ricordare la riduzione del Fondo di Finanziamento ordinario: solo negli ultimi due anni la ripartizione delle risorse ha mostrato i primi timidi segnali di miglioramento, spesso più nella composizione qualitativa che in termini assoluti”.

“Sarebbe opportuno migliorare ulteriormente la ripartizione delle risorse, sostenendo con più decisione aspetti come il diritto allo studio e le prospettive di carriera dei migliori giovani studiosi, favorendo la mobilità dei nostri docenti e ricercatori – ha commentato Andrea Graziosi, Presidente di ANVUR – Al tempo stesso il nostro Paese dovrebbe aumentare la sua capacità di attrarre validi studiosi stranieri, valorizzando maggiormente la didattica dottorale, talvolta messa in secondo piano rispetto a quella triennale e magistrale”.

Secondo ANVUR un’attenzione particolare meriterebbe infine la scarsa differenziazione del nostro sistema di istruzione terziaria. Anche se è fortemente auspicabile un maggiore impegno nella riduzione degli abbandoni e nel recupero dei ritardi, si dovrebbe riflettere su un ampliamento dell’offerta didattica anche in direzione tecnico-professionale, e non solo universitaria.

“Colpiscono positivamente la ripresa delle immatricolazioni, l’incremento dei laureati regolari e la diminuzione degli abbandoni fra il primo e il secondo anno – commenta il Ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini – Significativi e incoraggianti i dati sulla qualità della produzione scientifica dei nostri ricercatori. Ora dobbiamo lavorare per una maggiore internazionalizzazione dei percorsi di studio e per un collegamento più forte con il mondo del lavoro. Lo faremo – spiega Stefania Giannini – potendo contare su un quadro nuovo: con l’ultima legge di Stabilità abbiamo cominciato ad invertire la rotta sulle risorse. Ma non solo, dopo un periodo di blocco stiamo facendo ripartire le abilitazioni alla docenza universitaria con regole più semplici e tempi più certi per l’espletamento delle procedure. Con il Programma Nazionale per la Ricerca vogliamo fare del capitolo Ricerca e Sviluppo uno degli elementi chiave del rilancio economico del Paese, investendo, per la prima volta in modo massiccio, soprattutto sul capitale umano. La cura per diradare le ombre del sistema individuate dal Rapporto, e per rafforzare ancor di più le luci, è già cominciata”.

Per finire, ricordiamo a tutti un’altra opportunità per il nostro patrimonio a rischio: entro il 31 maggio, si può segnalare un bene culturale abbandonato scrivendo a bellezza@governo.it . In gioco ci sono 150 milioni di euro di fondi. E’ possibile scrivere anche condividendo questo articolo».

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