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Rubrica: La moda e le donne islamiche. L’unicum sociale e di genere dell’Arabia Saudita

Rubrica: La moda e le donne islamiche. L’unicum sociale e di genere dell’Arabia Saudita

11 Ottobre 2021 | by Domenico Letizia
Rubrica: La moda e le donne islamiche. L’unicum sociale e di genere dell’Arabia Saudita
Attualità
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La strada per l’emancipazione delle donne in Arabia Saudita è ancora lunga. La discriminazione e la marginalizzazione di genere sono fortemente radicate in Arabia Saudita, dove vige una monarchia assoluta, un regime estremamente repressivo, che impedisce alle donne di esercitare i propri diritti e le proprie libertà politiche, sociali, economiche e civili. Una realtà da comprendere e far capire all’opinione pubblica al fine di diffondere la realtà della donna e dei suoi diritti all’estero. Grazie alla Rubrica intitolata “La moda e le donne islamiche. Un nuovo intreccio culturale sociale e commerciale” con Simona Travaglini, esperta di moda e costume islamico, nonché esperta di diritto delle donne nel mondo islamico, già fondatrice del “marchio” Heart&Fashion, oggi molto conosciuto ed apprezzato a Roma, abbiamo avuto l’opportunità di analizzare a fondo la realtà giuridica e le consuetudini che caratterizzano l’Arabia Saudita e il processo di riforme che accompagna il ruolo della donna e il diritto della persona. Nel Regno rimangono in vigore norme volte a garantire la completa separazione tra i sessi, a partire dai banchi di scuola. Gli spazi pubblici, come i ristoranti, sono divisi in una sezione dedicata alle “famiglie” a cui possono accedere le donne e una per i soli uomini. Le occasioni in cui le donne possono interagire con uomini diversi dai membri della loro famiglia sono rare. In sede giuridica, richiamando alcune norme coraniche, la testimonianza offerta in sede giudiziaria da una donna vale la metà di quella di un uomo. Lo stesso vale per l’eredità che tocca a una donna, dimezzata rispetto all’uomo. Eppure, Riad è stata eletta nel 2017 membro della “Commissione Onu sulla condizione delle donne” che ha come compito «la promozione della parità tra i sessi e dell’autonomia delle donne».  Le aspirazioni e le esigenze di donne saudite le cui esperienze sono diverse e molteplici, proprio come lo è il loro atteggiamento nei confronti della condizione che si trovano a vivere e degli altissimi livelli di discriminazione esistenti che compromettono i diritti e la dignità della donna come essere umano compiuto. La condizione di diseguaglianza a cui è soggetta la donna in Arabia Saudita non rappresenta la regola nel mondo islamico ma, al contrario, costituisce un’eccezionalità peculiare ed esclusiva del tessuto religioso, culturale, sociale e politico del paese. Fin dai suoi albori la monarchia saudita si regge sull’alleanza informale tra due componenti, una politica e l’altra religiosa. Secondo il sistema del guardiano, noto come wilaya o wisaya, ogni donna saudita a prescindere dalla sua età deve dipendere da un wali al-amr, ovvero un tutore legale, per quanto concerne innumerevoli aspetti della sua vita pubblica e privata. Inizialmente questo ruolo viene attribuito al padre mentre in un secondo momento, qualora la donna decida di sposarsi, la figura del marito succede a quella del padre nell’esercizio di tale funzione. Nel caso in cui una donna passi dalla condizione coniugale a quella di vedovanza, il ruolo di guardiano viene trasferito al familiare di sesso maschile a lei più prossimo, come ad esempio il padre, il fratello o il figlio.

La donna saudita è sottoposta alla tutela di un parente maschio (mahram) che può essere suo padre, marito, fratello o figlio. Una custodia permanente, anche in caso di violenza domestica. Il tutore non provvede alle necessità della donna, ma le limita, impedendone qualsiasi forma di emancipazione: non può viaggiare, sposarsi, lavorare o accedere all’assistenza sanitaria senza il suo permesso. Nel caso di matrimonio con uno straniero, le donne devono inoltre chiedere l’approvazione del ministro dell’Interno. La donna saudita non può assolutamente sposare un cittadino di fede non musulmana, mentre per sposare un cittadino straniero deve richiedere l’autorizzazione, previa conferma che l’uomo sia di fede musulmana. Tuttavia, anche se la donna sposerà un cittadino musulmano, in caso di nascita di un figlio, il bambino non verrà considerato cittadino saudita. Per sposarsi per amore deve richiedere il consenso del Wali, il tutore. Nelle zone rurali, per convenzione, una donna di età anche molto giovane, può convolare a nozze per volere dei suoi genitori con un uomo molto più grande di lei. Per quanto riguarda il matrimonio, il governo saudita richiede il limite minimo di età di 15 anni, ma è possibile sposarsi anche a un’età più giovane. L’Arabia Saudita rappresenta un unicum che merita notevole attenzione per comprendere come la realtà sociale abbia influito sul ruolo delle donne e sulle dinamiche culturali interne al Paese.

 

 

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